Lo scoglio d’Africa

Lo Scoglio d’Africa

Lo Scoglio d’Africa, conosciuto anche con il nome di Africhella, si trova tra Pianosa e Montecristo nell’Arcipelago Toscano. Meta di sub e pescatori è un’ ottimo hot spot per molte tecniche di pesca, vediamo oggi la più praticate bolentino.

Le chiamano “perle” le isole dell’Arcipelago Toscano e sono veramente… merce rara: difficile trovare altrove qualcosa di simile, almeno nei mari italiani. Ognuna delle terre emerse in questa fortunata area del Tirreno ha qualcosa di unico e tutte incutono una sorta di “timore reverenziale”, tanto che diventa difficile oltraggiare il territorio anche solo con un piccolo gesto negativo, come gettare una cartaccia in terra. Certo, anche qui capitano le eccezioni, rappresentate dai “menefreghisti a oltranza” che non si fanno mai scrupoli e ritengono l’ambiente una loro riserva personale… da rovinare al più presto. Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe molto lontano; torniamo invece all’Arcipelago Toscano.

Lo scoglio d'Africa o Africhella è poco più di una secca con fondali con molti dislivelli

Lo scoglio d’Africa o Africhella è poco più di una secca con fondali con molti dislivelli

 

TANTE ISOLE, SECCHE E SCOGLI

Di tutte queste terre circondate dal mare si conoscono “vita e miracoli”, nel senso che da sempre sono meta di turisti, in qualche caso anche di ricercatori, e di segreti ormai ne hanno ben pochi… Ci sono addirittura persone che, pur abitando in altre parti d’Italia, conoscono le isole toscane meglio che i dintorni di casa propria! A formare l’arcipelago sono 7 isole maggiori e 3 minori, e ben 18 isolotti e scogli più o meno vasti nei dintorni delle isole stesse, quasi fossero satelliti di pianeti! A volte, però, anche il frequentatore più assiduo della zona non sa che esistono altre aree dell’arcipelago che, per la poca superficie emersa oppure perché non si vedono affatto poiché si tratta di secche, si possono considerare a pieno titolo come parte integrante della “collana di perle”, cioè l’Arcipelago Toscano. Sott’acqua ci sono le secche di Vada e della Meloria, in superficie lembi di terra in mezzo al mare come la Formica di Burano e Montecristo. Ma è un altro il “sasso” che interessar quello che i più chiamano “scoglio d’Africa”

 

 

Scoglio d’Africa PARADISO MARINO

Quando si parla di scoglio d’Africa, ma qualcuno lo chiama anche Africhella, si pensa a qualcosa di irraggiungibile a poca strada dal Continente Nero. In effetti, è poco più di uno scoglio isolato in mezzo al mare e se non fosse per il faro che lo segnalar ci farebbero caso solo i naviganti… ma quelli molto attenti. In effetti, si nota poco ed è veramente un lembo di terra sperduto in mezzo al mare: la superficie emersa è molto ridotta e durante il giorno si avvista solo a pochissime miglia di distanza. Meno male che c’è il faro, altrimenti in molti andrebbero a sbatterci contro navigando! Lo scoglio d’Africa è in mezzo a un immaginario triangolo tra la Corsica, l’isola di Pianosa e quella di Montecristo; la distanza dalle zone più battute ha fatto sì che i fondali mantenessero l’integrità di una volta: un vero e proprio paradiso marino, con acqua limpida, ricco di flora e, naturalmente, di bei pesci.

 

VARIETÀ Dl FONDALI allo scoglio d’Africa

Nei pressi dello scoglio d’Africa il fondale ha diversi alti e bassi rocciosi che partono da -3 0 -4 metri vicino al faro per arrivare fino a -20 e oltre nelle immediate vicinanze. Il punto dove il fondo scende più velocemente è verso sud e la profondità arriva sotto i 50 metri. Tutto intorno al faro, per qualche miglio di distanza, si trovano piccole secche, sprofondi e salite rocciose che sono meta di molti subacquei et naturalmente, anche di diversi pescatori che a bordo delle barche mettono in pratica le tecniche preferite. Leggendo attentamente la carta nautica si possono intravedere anche due sommi verso nord, nord-est, chiamati secche di Tramontana, con il cappello a circa -6 e -7 metri e una caduta veloce fino a oltre -30.

 

Come si arriva allo scoglio d’Africa? Semplice: basta impostare sul Gps le coordinate 42021 ‘448″N, 010003’862″E e mettere la prua verso il largo…

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Cullati dal vento o ben ancorati

Di solito è il bolentino a scarroccio ad aprire le danze, mirato alla ricerca dei “pesci da zuppa”. Stiamo parlando di grossi sciarrani, donzelle e tordi marvizzi che si lanciano sempre con frenesia sulle esche. Ci sono donzelle in quantità e di tutte le taglie sul fondo, ma con ami di grossa misura si fa selezione e i piccoli esemplari non danno più fastidio, lasciando il campo a catture di taglia più interessante. Lo scarroccio è l’approccio giusto quando c’è poco vento, con la barca che avanza molto lentamente, iniziando a calare nei punti dove il fondale va da -20 a -30 metri: tentare dove l’acqua è più bassa è solo una perdita di tempo, perché qui allo scoglio d’Africa il mare è limpido in modo incredibile, tanto che spesso si vede il fondo anche quando è 20 metri sotto la barca. E se noi riusciamo a scorgere il fondale… i pesci scorgono lo scafo e diventano più diffidenti, riducendo la frequenza dell’abboccate: quindi, non perdiamo tempo e spostiamoci dove la profondità dell’acqua ci mette al riparo dalla vista delle nostre prede.

Ampia scelta di bocconi

A scarroccio si usano canne dedicate lunghe circa 3/4 metri con azione di punta, sia a innesti sia telescopiche; se poi gli attrezzi hanno i vettini  molto sensibili è ancora meglio. Il mulinello è di media grandezza, perché la profondità non è eccessiva e anche il diametro del nylon è adeguato: infatti, è uno 0,25. A una girella con moschettone è attaccato il terminale, composto da un trave dello 0,28-0,30 lungo 120-140 centimetri circa, con tre braccioli da 20 centimetri dello 0,25 messi a circa 30 centimetri l’uno dall’altro. E’ necessario poco vento lo abbiamo già detto, ma se si vuole che lo scarroccio sia ottimale, cioè con l’esca che viaggia a velocità ideale per essere vista e attaccata dalle prede, bisogna mettere un piombo da 100-150 grammi in fondo al trave. Quando si va in mezzo al mare, è chiaro che bisogna portarsi una bella scorta di esche, possibilmente di tipo diverso per mettere a disposizione dei pesci coreani, gamberi di fascina e i filetti di calamaro, innescati su ami dell’8-10, nichelati o bronzati.

Fondali di scoglio

Con la barca ancorata, le emozioni sono maggiori e le prede crescono di taglia: saraghi, tanute, scorfani rossi, musdee e compagnia bella. Il bolentino a barca ferma implica una scelta precisa della posta e un ancoraggio a regola d’arte, pena il carniere desolatamente vuoto. Allo scoglio d’Africa punti migliori sono verso sud, tra i -30 e-50 metri, e verso sud-est, all’interno della batimetria dei -50 dove le anse formano le cadute di fondale. Una volta trovata la zona, bisogna ispezionarla per bene con l’ecoscandaglio per trovare il punto esatto dove calare la lenza mar soprattutto quello per gettare l’ancora. Il primo posto deve coincidere con la caduta di scogli che può essere una parete, un rialzo o comunque una variazione del fondale; il punto di ancoraggio dovrà essere a monte o a valle, in base alla direzione del vento e/o della corrente. I fondali della zona sono quasi tutti coperti di scogli o, al massimo, misti a grossi banchi di posidonia e l’ancora migliore è a rampino; con quattro marre pieghevoli. L’attrezzo va collegato a una catena lunga almeno tanto quanto la barca, di maglia del 6-8. a seconda della stazza del natante. La catena è legata a una cima lunga 100 metri, diametro 8-10 millimetri, da filare tanto quanto basta per mantenere ferma la barca nel punto stabilito: più il mare è agitato, maggiore è la metraturadi cima da calare in mare.

 

Terminale adeguato

Per il bolentino a barca ancorata ci vogliono ancora canne specifiche ad azione di punta,  lunghe almeno 4 metri: con attrezzi simili si possono usare terminali più lunghi, per combattere con pesci di taglia maggiore di quelli che arrivano a scarroccio. Il mulinello è carico di nylon simile a quello descritto in precedenza, cioè dello 0,30-0,35, e il filo per il trave rimane sempre dello 0,28-0,30 ma cambiano disposizione e misura dei braccioli: sono sempre tre, ma l’ultimo questa volta lavora sotto il piombo, e sono disposti a circa 50-60 centimetri l’uno dall’altro. La lunghezza dei braccioli è 30-40 centimetri, il piombo terminale è da 50-150 grammi in base alla forza della corrente e gli ami sono del 2-4. Per Il medio fondale inneschiamo tranci di calamaro, di sardina, cannolicchi oppure coreani. Se invece vogliamo le emozioni forti… non ci resta che provare con il bolentino di profondità, a sud dello scoglio

tutti i terminali adatti per la pesca allo scoglio d'Africa

tutti i terminali adatti per la pesca allo scoglio d’Africa

E adesso, giù negli abissi!

Se siamo appassionati di catture nel blu profondo, la posta è a tiro ma bisogna spostarsi verso sud rispetto allo scoglio d’Africa e andare nel punto indicato dalle coordinate 42011 ‘356″N, 010007’ 173″E Arriveremo sulla ricca zona del banco di Cassaforte, Che sia

chiamato così perché “contiene/ tante belle prede pregiate? Lo scopriremo solo andandoci! Dopo un breve tragitto si arriva sul punto buono dove c’è uno sprofondo a -84 metri; ai lati, però, il fondale precipita fino a -500 metri, con cadute che variano tra i -200 e i -400: sono veri e propri hot spot per il classico bolentino di profondità. Grossi occhioni, scorfani di fondale i gronghi e anche qualche cernia sono i pesci che possiamo aspettarci di catturare. Se invece caliamo tra-85 e -150 metri, San Pietro e dentici prai saranno catture probabili

FINO A -150 METRI

Per il bolentino sul banco di Cassaforte fino a -150 metri si possono usare anche i classici mulinelli a bobina fissa, purché siano modelli molto robusti e abbinati a canna molto potenti, cioè da 300 a 500 grammi. Il mulinello va caricato con trecciato dello 0,15/0.20. Il trave è dello 0,50/0.60 con tre braccioli dallo 0.30/0.40, lunghi 30 centimetri/ tutti sopra il piombo e distanziati di 50-60 centimetri l’uno dall’altro. Quando si pesca su fondali già profondi come questi, diventa importante il modo di collegare il bracciolo al trave, perché calando e salpando dagli abissi occorre scaricare bene le torsioni che inevitabilmente si creano. Per ottenere il risultato migliore, all’attacco dei braccioli si mettono semplici girelle ( o in alternativa le classiche perline a 4 fori) bloccate da due perline, naturalmente incollate. Le esche sono di norma tranci di sardine e di calamaro, perché catturano di più, e gli ami aumentano di dimensioni rispetto allo scarroccio di medio fondale: sono dell’1/0-2/0 con occhiello, in acciaio e a becco d’aquila. Obbligatorio fermarsi per pescare, quindi ci si ancora… ma ci vogliono almeno 300 metri di cima per stare sopra il punto giusto! Poi, qui c’è anche corrente e il piombo, o meglio il suo peso, è vitale per tenere corretta- mente in pesca il trave: una zavorra di almeno 200 grammi, con limite massimo sui 500, ci mette tranquilli.

LA FOSSA… Cl ASPETTA!

Quando la profondità diventa veramente abissale, l’attrezzatura inevitabilmente cambia. Le canne che servono sono a innesti, molto robuste e lunghe 2,50-3 metri, mentre il mulinello è elettrico… perché per salpare un pesce da -500 metri con un normale mulinello, o sei il cugino di Superman oppure un perfetto masochista! Sulla bobina bisogna caricare un trecciato da 30/ 50 libbre. Il terminale è formato da un trave dello 0,80-1 , 30 con 6 braccioli dello 0,70 lunghi circa 20-30 centimetri e armati con ami 1/0-3/0, sempre in acciaio e a becco d’aquila. Se la torsione del filo durante salpata e calata è notevole a -150 metri, figuriamoci a che livelli arriva pescando su profondità così elevate: una ragione in più per adottare le opportune contromisure. Tra tutti i sistemi a disposizione, va per la maggiore l’attacco intercambiabile che permette anche di togliere velocemente il bracciolo, per un accurato innesco, per slamare i pesci senza paura di garbugli improvvisi oppure per cambiarlo. Il peso del piombo va da 750 a 2.000 grammi secondo la profondità e l’intensità della corrente. Le esche che funzionano meglio sono la sarda e il calamaro, ma anche il cappellotto (una specie di via di mezzo fra un piccolo calamaro e un polpo) o i totanetti, davvero ottimi quando nel blu profondo sotto di noi incrociano gli occhioni.