Il bigattino

Il bigattino: colpevole o innocente?

 

Il bigattino o larva di mosca carnaria è sicuramente una delle esche maggiormente impiegate nella pesca da terra. Questa però non è sempre ben accettata dai pescatori e soprattutto è spesso presa di mira anche da leggi di autorità portuali.

Quando parlo del bigattino mi vengono in mente due cose, un’esca eccezionale ed i cartelli di alcuni porti italiani, dove vige il divieto di pesca con la mosca carnaria. Proprio su questa esca sono nate dicerie che niente hanno di vero, ma che sono semplicemente frutto di mancanza di conoscenza del­la materia.

Questa esca in primo luogo divide i pescatori in due grandi branche:

  • la prima quella che vede il bigattino come un’esca e una pastura tra le più catturanti, la ma­neggia con indifferen­za, la mette all’amo… insomma, compie tut­te quelle operazioni che compirebbe se stesse adoperando un’altra qualsiasi esca.
  • la seconda che ha una repulsione totale verso questa larva, impossibilitati mentalmente e fisicamente a mettere la la mano in mezzo a migliaia di piccole larve bian­che che si muovono ad un ritmo impressionante.

bigattini

La suddivisione che ho fatto comunque rimane a livello soggettivo c’è, chi prova repulsio­ne per i topi, per le rane, per i serpenti e c’è chi, invece, di­mostra per tali animali la tota­le indifferenza.

 

Che cosa è il bigattino

La larva di mosca carnaria nasce sulla carne o pesce in putrefazione proprio come bigattino fino a raggiungere la completa maturità. In seguito abbandona la zona di nascita si interra nel suolo sottostante per divenire caster ad infine mosca.

Molti studi sono stati fatti sul bigattino e soprattutto al suo stato igienico da quando viene usato come esca in maniera assidua. Per quanto comprensibili le dicerie che sono state fatte sul bigattino e nonostante il suo odore sgradevole, queste larve non trat­tengono né all’interno né all’e­sterno del loro corpo agenti patogeni che possono aggre­dire l’organismo umano. (naturalmente esistono soggetti allergici alla larva). La loro carica batterica all’analisi si dimostra paragonabile a qual­siasi altra esca viva, ovvero dovuta più al contatto con ma­ni umane che alla sua stessa natura. Circa la possibile emanazione da parte della larva viva di miasmi pericolosi, sono state condotte, a ca­rattere di ricerca scientifica di laboratorio, prove sperimentali che avvalorano la tesi della produ­zione spontanea da parte del bigattino di un secreto steri­lizzante a funzione auto/immunitaria, che gli permette di disinfettare la sostanza orga­nica con cui viene a contatto, per un discreto raggio di su­perficie circostante.

Ma i bigattini mangiano i pesci in acqua?

Quando usiamo il bigattino sia come pastura che come esca e quindi lo immergiamo in acqua di mare, assistiamo per alcuni minu­ti ad  una pregevole attività della nostra esca, ma trovandosi in ambiente diverso da cui nasce e vive, risulta impedito nei suoi movimenti naturali.  Sottolineiamo innanzi tutto che il bigattino si nutre solo di animali morti. Risulta quindi impossibile che la fauna ittica, se viva e nel suo ambiente naturale, venga at­taccata, sia esternamente che internamente, a causa di inge­stione, da larve attive di mo­sca carnaria. Non è detto però che il bigattino non sia presente nello stomaco dei pesci che catturiamo. Infatti, molto spesso, pulendo il pesce catturato (quando peschiamo con tale larva), notiamo che lo stomaco risulta piena di bigattini. Questa è dovuta al fatto che sono larve ingeri­te dal pesce pochi attimi prima di es­sere pescato, molte sono già morte, al­tre lo sarebbero sta­te di li a poco a cau­sa dell’aggressione dei succhi gastrici.

Vietata la pesca con il bigattino

Nel tempo e nel presente

A seguito di una informazione non del tutto corretta sulla biologia del bigattino, in molti tratti di mare della nostra costa, esistono tutt’oggi ordinanze della Capitaneria di Porto che vie­tano la pesca con tale esca.

Vediamo che cosa ci riserva il web su tale argomento:

Per la provincia di Grosseto esiste o esisteva una ordinanza:

  • E’ vietato l’uso delle larve di mosca carnaria (bigattino) nelle acque di foce e salmastre su tutto il territorio provinciale.

Sempre per la provincia di Grosseto esiste o esisteva una ordinanza(art. 5 dell’Ordi­nanza n 03/1993) :

  • E’ vietata la pesca con larva di mosca carnaria (o bachino o bigattino o baco da sego), all’interno del porto dal Ponte Giannini, fino alla confluenza in mare, nonché su tutto il litorale compreso fra il Forte delle Marze e la punta di Torre Civette (foce Alma nuova)

Per quanto riguarda la zona di Castiglione della Pescaia

– l’esercizio della pesca sportiva con canna e/o lenza è vietata con larva di mosca (bigattino ).

Nell’Ordinanza n. 38/1992,  nell’art. 3 sempre della provincia di Grosseto si dice/diceva:

– l’esercizio della pesca sportiva con canna e/o lenza è vietata con larva di mosca (bigatti­no)nella zona turistica di Porto Santo Stefano.

Per spostarsi poi nella provincia di La Spezia a Portovenere:

bigattino-portovenere

Oppure nel Lazio e precisamente a Terracina:

terracina-bigattino

 

 

E molto spesso facendo rispettare la legge sono arrivate anche le sanzioni:

bigattino-gaeta

 

 

Adesso dobbiako stabilire il perché di questi divieti, l’unica cosa che viene spontanea alla mente, forse perché tale esca viene ritenuta re­sponsabile della morte dei pe­sci. Mi viene da pensare che le au­torità preposte a legiferare o gestire certe questioni bran­colino ancora nella nebbia profonda del “si dice che”.

 

Favole per bambini

Quante volte avete sentito dire che i bigattini ingeriti dai pesci, perforano il loro stomaco e finiscono per ucciderlo? Sicuramente tante volte. Stupide dicerie o favole per bambini o pescatori creduloni, o meglio persone che purtroppo hanno il potere legislativo per vietarne l’uso. Le dicerie a proposito di pesci, pescati con lo stomaco perfo­rato da queste larve, devono essere considerate pure fandonie.

L’ A.N.P.R.E. (Associazione Nazionali Produttori Rivendi­tori Esche) molti anni fa, si è fatta promotri­ce di una esperienza speri­mentale. Tale prova è stata eseguita con la supervisione scientifica dell’Istituto di Zoo­culture dell’Università di Bo­logna. La responsabi­lità della parte ittica era stata af­fidata al Dr. Paolo Melotti, tito­lare della cattedra di ittiocultura dell’Istituto suddetto. La D.ssa Donatella Sgobba (responsabile scienti­fica dell’A.N.P.R.E.) si è occu­pata della parte di ricerca en­tomologica. Il test è stato fatto sottoponendo dei pesci allevati, alimentandoli parte con pellets di farina di pesce ed altri con bigattino. Questo esperimento è durato 6 mesi ed cercando di riassumere i risultati è emerso quanto segue:

  • – L’analisi delle acque, esegui­ta ogni 15 giorni, ha sempre dimostrato l’assenza di azoto e di fosfati, una discreta pre­senza di ossigeno disciolto ed un pH neutro;
  • – L’analisi del sangue effettua­ta su 10 pesci di ogni vasca, eliminati ogni volta in seguito al prelievo, ha dimostrato che i parametri ematici, epatici ed enzimatici erano nella norma negli esemplari negli animali allevati a base di bigattini e leggermente alterati negli al­tri.

II controllo bisettimanale dello stato di salute generale dei pesci (colore, sopravvi­venza, dimensioni e peso) ha dimostrato che:

  • a) Gli esemplari nutriti a pel­lets hanno avuto un incremento di peso leggermente supe­riore agli altri;
  • b) La mortalità, in seguito al manifestarsi di una infezione da saprolegna (una malattia cutanea che in genere contrag­gono gli avannotti negli alle­vamenti e che si manifesta so­lo in seguito, a carico della pelle, sulla quale si produco­no delle escoriazioni a volte letali), è stata leggermente in­feriore negli esemplari alleva­ti con i bigattini, anche se ov­viamente non era possibile fornire loro un cibo medicato come si è soliti fare con i pel­lets.
  • c) Non è mai stata riscontrata la presenza di bigattini, né di ferite nello stomaco dei pesci morti e successivamente sot­toposti ad autopsia.

Naturalmente tutti i risultati ottenuti dall’esperimento erano a suo di­sponibili sia nella sede dell’A.N.P.R.E., che presso l’I­stituto di Zooculture dell’Uni­versità di Bologna (purtroppo essendo passati molti anni da quegli esami non sono al corrrente che siano tutt’ora disponibili)